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Indice

  1. Le attuali conoscenze sugli Scarabaeoidea italiani
  2. Alcune peculiarità della fauna italiana
  3. Specie aliene e invasive
  4. Cenni storici sullo studio degli Scarabaeoidea in Italia
  5. Dove vivono gli Scarabaeoidea in Italia?
  6. La raccolta degli Scarabaeoidea italiani
  7. Aspetti conservazionistici relativi agli Scarabaeoidea italiani

4. Gli Scarabaeoidea in Italia  

4.1  Le attuali conoscenze sugli Scarabaeoidea italiani 

In  Italia sono segnalate 399 specie di Scarabaeoidea. Escludendo le specie note per antiche segnalazioni mai confermate e le poche specie estintesi di recente, il numero scende a 363 specie.

Gli Aphodiinae con 144 specie, sono il gruppo più numeroso, seguiti dai Melolonthinae (61 specie), e dagli Scarabaeinae (52 specie). Il numero di endemici è pari a 63 specie (che sale a 94 se vi includiamo le sottospecie), di cui 44 specie/sottospecie endemiche della Sicilia e 38 specie/sottospecie endemiche della Sardegna. Se si aggiungono i subendemiti, cioè i taxa che si trovano anche nelle Alpi occidentali francesi o in Corsica, il numero si alza a circa 100 specie/sottospecie endemiche. Il numero complessivo di specie e la percentuale di endemiti (circa il 26% considerando i taxa subendemici) non è comunque eccezionale, se paragonato al numero di specie di Penisola Iberica (480 specie circa, di cui 180 endemiche, cioè il 37,5%) e Penisola Anatolica (650 specie  circa, di cui 250 endemiche, cioè il 38,5%).

Dal punto di vista biogeografico possiamo osservare come Sicilia e Sardegna siano i centri di maggiore interesse per numero e importanza degli endemiti, seguiti dall’Appennino meridionale, dall’Appennino centrale, dalle Alpi e dal litorale toscano (dove si trovano ben tre endemiti: il Ceratophyus rossii, l’Heptaulacus rasettii e l’Amadotrogus grassii).  Nelle isole Pelage e, in misura minore, in Sicilia e Sardegna, raggiungono il limite settentrionale di distribuzione diverse specie del Nord Africa, mentre nel Carso triestino troviamo probabilmente il limite occidentale di distribuzione di tre o quattro specie (Miltotrogus vernus, Nobiellus serotinus, Anisoplia agricola e forse Anoxia pilosa). Le Alpi invece, oltre ad essere centro di endemismo per diverse specie di Neagolius, ospitano numerose specie a diffusione boreo-alpina, alcune delle quali con estensione alle aree più interne dell’Appennino settentrionale e centrale (come nel caso di Agoliinus satyrus).

Le conoscenze sulla distribuzione degli Scarabaeoidea in Italia sono discretamente soddisfacenti, almeno su scale geografiche medie (regione), tuttavia se volessimo avere dati a livello più dettagliato (province o comprensori naturali di più modeste dimensioni) già ci troveremmo in difficoltà, perché, fatta eccezione per alcune aree di particolare rilevanza ambientale o di particolare interesse biogeografico, gran parte del territorio italiano risulta poco esplorato dal punto di vista scarabeidologico. Questo, oltre a dipendere dalla disomogenea distribuzione degli entomologi sul territorio, è in parte anche dovuto al fatto che molte specie floricole hanno fenologie ristrette: gli adulti volano spesso poche ore al giorno per pochi giorni all’anno ed è dunque estremamente aleatorio rinvenirli in natura. Inoltre molti generi hanno una biologia ancora sostanzialmente sconosciuta e quindi le catture sono del tutto occasionali e sporadiche, è il caso, per esempio, di Ochodaeus, Bolbelasmus, Odonteus, Euheptaulacus ed Heptaulacus.

Fig. 86. La distribuzione dei lavori faunistici pubblicati dal 1950 in poi per aree di dimensioni grandi (regioni, ecc.). (La  bibliografia di riferimento è reperibile nell'apposita sezione della Bibliografia). (Cliccare sull'immagine per ingrandire).

Fig. 87. La distribuzione dei lavori faunistici pubblicati dal 1950 in poi per aree di dimensioni medie o piccole. (La  bibliografia di riferimento è reperibile nell'apposita sezione della Bibliografia). (Cliccare sull'immagine per ingrandire).

Fig. 88. Uno degli esemplari di Lyogenis excisa (già nota come Peritryssus excisus) etichettati di Sicilia (foto D. Keith, 2008)

















Esiste un elevato numero di specie note per l’Italia solo in forza di antiche citazioni, mai confermate. E’ molto probabile che la maggior parte di queste specie non sia mai stata presente nel territorio nazionale e che le vecchie citazioni siano da attribuire a errori di identificazione o di cartellinatura (è per esempio il caso del Melolonthidae Peritryssus excisus, ora Lyogenis excisa, descritto di Sicilia e mai più ritrovato: solo recentemente si è scoperto trattarsi di una specie appartenente a un genere del Nuovo Mondo, con la conseguenza che gli esemplari etichettati “Sicilia” sono probabilmente frutto di un errore di cartellinatura).

 Esistono tuttavia diverse vecchie segnalazioni che andrebbero verificate, soprattutto con riferimento a specie centro ed est europee, che potrebbero verosimilmente trovarsi nelle Alpi italiane. Un esempio è costituito da Loraspis frater e Agoliinus nemoralis, entrambi Aphodiidae citati anticamente per l’Italia e per i quali esistono reperti recenti per località delle Alpi a pochi chilometri dal confine italiano. Queste due specie potrebbero dunque esistere anche in Italia, purché si facciano ricerche nei periodi e negli ambienti adatti. Entrambe le specie sono primaverili, L. frater è legato a sterchi molto vecchi, mentre A. nemoralis è specie che si rinviene esclusivamente in aree boscose.

Esistono infine almeno due specie per le quali la presenza in Italia è accertata, ma di cui non si conoscono reperti recenti: Scarabaeus pius e Heptaulacus testudinarius. Queste specie sono, con ogni probabilità, estinte nel territorio nazionale, a causa della riduzione dei pascoli (Scarabaeus pius) e del degrado degli ambienti riparali dei grandi fiumi della pianura Padana e delle valli alpine (Heptaulacus testudinarius). Molte altre specie, soprattutto coprofagi di grandi dimensioni, hanno subito una notevole riduzione dell’areale negli ultimi decenni, soprattutto nel nord Italia.

 

 

 

4.2  Alcune peculiarità  della fauna italiana 

La fauna italiana di Scarabaeoidea, come abbiamo visto, è inferiore, quanto a numero di specie, rispetto a quelle presenti nelle altre grandi penisole del Mediterraneo (Iberica, Balcanica e Anatolica), tuttavia possiede una serie di peculiarità sistematiche e/o biogeografiche che la rendono una delle faune più interessanti d’Europa.

Fig. 89. Un maschio di Pachypus sardiniensis, si noti la caratteristica postura a testa in giù (foto D. Sechi, 2008).

Fig. 90. Un maschio di Melolontha sardinienis, endemita sardo noto alla scienza da pochi anni (foto E. Bazzato, 2008)

Possiamo prima di tutto ricordare che in Italia risulta presente una sottofamiglia subendemica, del tutto particolare, e cioè i Pachypodinae, che, con quattro specie presenti in Italia (una delle quali con estensione alla Corsica) e una quinta endemica della Tunisia e Algeria, fanno dell’Italia il centro di distribuzione della famiglia. Si tratta di un taxon notevole per essere l’unico caso noto di Scarabaeoidea ad avere femmine prive di elitre.

Nel territorio nazionale si trovano poi due delle quattro specie europee di Amphicoma (le altre due si trovano in Spagna e in Grecia), un genere di Glaphyridae diversificato nell'Asia paleartica orientale e quindi dal chiaro carattere relitto.

Sempre in tema di distribuzioni relitte, nel territorio nazionale, e più precisamente nelle pinete litoranee toscane, troviamo il Geotrupidae endemico Ceratophyus rossii, rappresentante un genere presente altrimenti nel Mediterraneo occidentale (Spagna e Marocco), nell’Asia paleartica (Asia Centrale e Estremo Oriente) e in California.

L’Italia rappresenta il limite occidentale di distribuzione dei Chaetonyx, notevole genere di Scarabaeoidea con estremo adattamento alla vita ipogea, diffuso nell’area mediterranea orientale. Da segnalare inoltre la presenza in Sardegna di una Melolontha (M. sardiniensis) endemica e scoperta solo pochi anni fa.

Un’altra particolarità del nostro territorio è costituita dalla presenza di numerose specie e sottospecie endemiche del genere Neagolius (Aphodiinae). Si tratta di specie saprofaghe d’alta montagna, la cui distribuzione è stata plasmata dalle glaciazioni, che hanno isolato a più riprese varie popolazioni, favorendo i processi di speciazione. In Italia troviamo la più elevata concentrazione di specie e sottospecie del mondo per questo genere. Infatti abbiamo ben otto tra specie e sottospecie (tre delle quali totalmente endemiche), prevalentemente diffuse sulle Alpi.

Fig. 91. Mappa raffigurante la distribuzione delle specie del genere Neagolius sulle Alpi e sugli Appennini settentrionali.

Passando ai Cetoniinae è notevole la presenza di nove specie/sottospecie totalmente endemiche (o condivise con la Corsica o Malta) (Protaetia (Netocia) squamosa, Protaetia (Netocia) sardea, Protaetia (Eupotosia) affinis thyrrenica, Protaetia (Potosia) cuprea hypocrita, Cetonia carthami carthami,Tropinota paulae,  Gnorimus decempunctatus, Osmoderma cristinae e Osmoderma italicum). Nessuna altra nazione europea possiede così tanti endemiti quanto a Cetoniinae. Sempre tra i Cetoniinae va anche ricordata la presenza in Italia centrale di una o più popolazioni di Protaetia (Eupotosia) mirifica, specie diffusa dalla Spagna alla Siria, ma con areale estremamente frammentato e a carattere relitto.

A fronte di questa ricchezza di specie endemiche o comunque interessanti, in Italia vi sono diversi “grandi assenti”: molte specie ad ampia diffusione europea sono curiosamente assenti dal nostro territorio (è il caso per esempio degli Aphodiinae Chilothorax melanostictus e Liothorax plagiatus) e molti gruppi, che altrove in Europa hanno conosciuto una notevole speciazione, come i Sericini e i Pachydemini e Rhizotrogini nella penisola Iberica o le Anisoplia nella penisola Balcanica, in Italia sono decisamente poveri di specie e di endemiti.

 

4.3  Specie aliene e invasive 

L’intensificarsi dei viaggi e degli scambi commerciali tra i continenti ha reso sempre più frequente l’introduzione accidentale di specie provenienti da altri paesi (dette ”specie aliene” o “specie invasive”), che, fuori dal proprio areale di provenienza, riescono talvolta a costituire popolazioni stabili, che possono risultare nocive all’agricoltura, agli ambienti naturali e, in certi casi, anche alla salute umana.

Nell’ambito degli Scarabaeoidea l’Europa fino a pochi decenni fa aveva svolto più che altro il ruolo di “esportatore” di specie, come nel caso di numerosi Scarabaeinae e Aphodiinae coprofagi introdotti in Nord America e nelle aree temperate dell’emisfero australe, nonché dell’Amphimallon majale (Melolonthinae), introdotto in Nord America, dove è conosciuto come “European Chafer”. Per converso i casi noti di acclimatazione di specie aliene in Europa sono stati finora molto pochi. L’australiano Saprosites mendax (Aphodiinae Euparini) e il nord americano Tesarius caelatus (Aphodiinae Pasammodiini) si sono stabiliti in Inghilterra, il Parataenius simulator (Aphodiinae Eupariini), originario del Nuovo Mondo, ha raggiunto le coste del Portogallo, mentre l’Omorgus suberosus (Trogidae) del Sud America si è stabilito in Spagna.

Fig. 92. Popillia japonica.

Fig. 93. Maladera insanabilis.

Fino ad oggi nessuna specie esotica si è ancora naturalizzata nel nostro territorio, sebbene sia segnalata una cattura siciliana del Trogidae africano Afromorgus melancholicus in Sicilia (che però non sembra essere stata seguita da altri reperti) e recenti catture in Lazio di Ataenius picinus (Aphodiinae Eupariini), specie saprofaga americana.

Esistono tuttavia numerose altre specie di Scarabaeoidea che hanno dimostrato di avere grandi potenzialità di dispersione e che potrebbero prima o poi arrivare in Europa e stabilirsi in Italia. In particolare occorre fare attenzione alla Popillia japonica, o “scarabeo giapponese”, una specie originaria del Giappone e stabilitasi a partire dal 1916 in Nord America, dove è diventata una pest particolarmente pericolosa per le colture. In Europa è presente solamente nelle isole Azzorre, ma in molte altre aree europee, tra le quali l’Italia settentrionale, esistono condizioni climatiche favorevoli a questa specie. A tale proposito segnaliamo una discussione del luglio 2014 sul forum Naturamediterraneo, con la quale viene annunciato il rinvenimento di una popolazione di Popillia japonica in Lombardia occidentale e in Piemonte. Un’altra specie in fase di recente espansione è la Maladera insanabilis (nota anche come Maladera matrida). Si tratta di un sericino  diffuso dall’India fino al vicino oriente e in espansione verso ovest, dove negli anni ’80 ha raggiunto Israele e poi la Libia.


4.4  Cenni storici sullo studio degli Scarabaeoidea in Italia
 

Figlia dello “spirito di sistema” illuminista che caratterizza tutto il ‘700, l’opera di Linneo (1707-1778), con l’introduzione di regole nomenclatoriali semplici e di valore universale, è considerata la pietra miliare di tutta la sistematica moderna, botanica e zoologica e quindi anche entomologica.

Fig. 94. Alcuni disegni a colori destinati a illustrare l’opera di Ulisse Aldrovandi (inizio XVII secolo): si tratta di Lucanus cervus (sinistra) e Melolontha sp. (destra)


Sebbene gli Scarabaeoidea abbiano destato in Italia l’attenzione di vari illustri studiosi di epoca pre-linneana, come per esempio il bolognese Ulisse Aldrovandi (1522-1605), che con il suo “De Animalibus insectis libri septem”  del 1602 non disdegnò di occuparsi di cervi volanti, scarabei sacri e maggiolini, lo studio degli Scarabaeoidea italiani su basi scientifiche si può convenzionalmente far cominciare con il recepimento del sistema linneiano. In Italia la nomenclatura binomia venne accolta con rapidità e già diversi studiosi contemporanei di Linneo ne adottarono il sistema.

 

 

Fig. 95. Frontespizio dell’Entomologia Carniolica di Giovanni Antonio Scopoli.

Fig. 96. Ritratto di Giovanni Antonio Scopoli.


Pubblicata solo cinque anni dopo la decima edizione del Systema Naturae di Linneo, l”Entomologia Carniolica” di Giovanni Antonio Scopoli (1723-1788), sebbene relativa ad una regione limitata e marginale, esterna all’Italia attuale, può tuttavia essere considerata l’atto di nascita dell’entomologia naturalistica in Italia (1763). In essa Scopoli elenca una trentina di specie di Scarabaeoidea, dieci delle quali descritte dall’Autore, fra le quali l’ Osmoderma eremita e l’ Aphodius alpinus (entrambe descritte come Scarabaeus); a lui si deve, in quest’opera, anche la descrizione del genere Lucanus.

Anche l’altra importante opera di Scopoli, le “Deliciae florae et faunae insubricae” (1786-1788) è importante per gli Scarabaeoidea italiani; in essa vengono descritti l’ Amphimallon fuscum e la Potosia speciosissima (già P. aeruginosa Drury), sempre inquadrati nel genere Scarabaeus. Un altro rilevante scarabeide italiano, l’ Odonteus armiger, in questi anni al centro di numerose dispute nomenclatoriali fra gli studiosi, è stato descritto da Scopoli nel 1772, sebbene inserito nel genere Scarabaeus.

Il Settecento vede altri due importanti entomologi italiani che si sono occupati, nei loro lavori entomologici, di Scarabaeoidea: il toscano Pietro Rossi e il napoletano Vincenzo Petagna.

 

Fig. 97. Frontespizio della Fauna Etrusca di Rossi.

Fig. 98. Tavola tratta dalla Mantissa Insectorum di Rossi, si notino in alto alcuni esemplari di Cheironitis furcifer.

Pietro Rossi (1738-1804), primo professore di entomologia del mondo, è autore di due lavori tuttora validi dal punto di vista tassonomico e nomenclatoriale: la “Fauna Etrusca” (1790) e la “Mantissa Insectorum” (1792). In esse vennero descritte numerose specie di scarabeidi, fra le quali (usando l'attuale inquadramento generico) Cheironitis irroratus (1790), Cheironitis furcifer (1792), Trox niger (1792), Anomala devota (1790), Triodontella nitidula (1790) e l’endemita italiano Hoplia dubia (1792).

Vincenzo Petagna (1734-1810) pubblicò un volume di “Institutiones Entomologicae (1792)” ed un resoconto di viaggio “Specimen Insectorum Ulterioris Calabriae” (1787) che rappresenta il primo lavoro sulla penisola italiana in senso stretto. A lui si devono la descrizione del Pachypus candidae (1787) e quella del Copris hispanus cavolinii (1792).

La prima metà del diciannovesimo secolo vede in Italia uno sviluppo dell’entomologia sistematica e faunistica più lento rispetto a quello degli altri paesi d’Europa, i quali, a partire dalla Francia (1832), fondarono una loro società entomologica nazionale. Naturalmente questo non significa che non vi fossero, in Italia, entomologi di fama che non trascurarono di occuparsi di scarabeidi; fra essi ricordiamo Franco Andrea Bonelli, Giuseppe Gené ed Achille Costa.

Franco Andrea Bonelli (1784-1830), già allievo di Lamarck, professore di Zoologia all’Università di Torino e Direttore del Museo di Zoologia, si occupò soprattutto di Carabidi; nel suo “Specimen Faunae subalpinae sistens Insecta Pedemontii” (1812) descrisse, fra le altre specie, l’ Agolius abdominalis e l’ Hoplia brunnipes. Giuseppe Gené (1800-1847), successore di Bonelli sia all’Università di Torino che al Museo di Zoologia, fece quattro spedizioni di ricerca faunistica in Sardegna tra il 1833 ed il 1838. Nel suo “De quibusdam Insectis Sardiniae” (1836, 1839) pubblicò la descrizione di svariate specie di scarabeidi, fra le quali Thorectes geminatus (1839), Chelotrupes hiostius (1836), Trox cribrum (1836) Dorcus musimon (1836) ed il genere Elaphocera (1836).

   Fig. 99. Frontespizio del volume della Fauna del Regno di Napoli contenente la trattazione degli Scarabaeoidea e le cinque tavole dedicate agli Scarabaeoidea contenute nel relativo volume della Fauna del Regno di Napoli di Costa.

Achille Costa (1823-1898), figlio dello zoologo/entomologo Oronzo Gabriele Costa (1787-1867) e suo successore nella cattedra di zoologia dell’Università di Napoli e nella direzione del Museo Zoologico, proseguì la redazione della “Fauna del Regno di Napoli”, ove descrisse anche specie di Scarabaeoidea. Descrisse anche diversi generi  nuovi, divertendosi ad anagrammare i nomi dei generi esistenti, come nel caso del genere Netocia, anagramma di Cetonia o del genere Streopuge (poi storpiato in Stereopyge da Reitter, nome che è diventato di uso prevalente), anagramma di Geotrupes. Il padre Oronzo Gabriele, oltre alla citata Fauna, pubblicò nel 1839 “Degli insetti nuovi e rari della provincia di Terra d'Otranto”, che contiene la descrizione del Thorectes intermedius.

Oltre a questi grandi nomi, altre figure diedero un contributo alla conoscenza della entomofauna (e quindi anche scarabeidofauna) italiana, pubblicando faune locali ed occasionalmente descrivendo specie. Ricordiamo in particolar modo Lorenzo Ponza per il Piemonte e Vittore Ghiliani (1812-1878) la cui opera fondamentale, “Elenco delle specie di coleotteri trovate in Piemonte” fu pubblicata postuma nel 1886; Luigi Petagna (1779-1832) per il Regno di Napoli; Francesco Disconzi (1811-1885) per la provincia vicentina; Fortunato Zeni (1819-1879) per il Trentino; Antonio Comolli ed i fratelli Villa per la Lombardia. Antonio (1806-1885) e Giovanni Battista Villa (1810-1887) pubblicarono svariati cataloghi sui coleotteri lombardi;  ad essi si deve l’attuale nome della sottospecie italiana del notissimo scarabeo rinoceronte: Oryctes nasicornis corniculatus (1833). Merita un cenno particolare la figura di Vincenzo Maria Gredler (1823-1912), frate francescano, attivissimo naturalista e studioso dei coleotteri del Tirolo, cui si deve la descrizione di un raro e misconosciuto Aegialiidae, Psammoporus latipunctus (1863), la cui validità specifica è stata recentemente riabilitata.

Con la seconda metà dell’800 l’intensificarsi delle esplorazioni e dei traffici commerciali portano in Europa una grande quantità di materiale esotico, destinato ad arricchire soprattutto le collezioni dei giovani musei di Londra, Parigi, Berlino e Leida e a divenire oggetto di studio da parte dei grandi scarabeidologi dell’Europa centrale e settentrionale come Boucomont, Brenske, d’Orbigny, Fairmaire, Janson, Harold, Kaup, Kraatz, Lansberge, Mulsant, Parry, Reitter, Ritsema, Sharp, J. Thomson, Waterhouse e Westwood: un ristretto gruppo di studiosi a cui si deve la descrizione di una significativa percentuale delle specie note di Scarabaeoidea.

Fig. 100. Ritratto di Raffaello Gestro (da Conci & Poggi, 1996).

Fig. 101. Ceroplophana modiglianii (Rutelinae, Borneo). Una delle tante specie di Scarabaeoidea del Sud Est asiatico descritte da Gestro.

Fig. 102. Lamprima adolphinae (Lucanidae, Nuova Guinea). Un'altra specie appariscente e molto famosa descritta da Gestro.

L’Italia ebbe modo di inserirsi in questo contesto grazie soprattutto a due eventi: la nascita di una società entomologica nazionale (nel 1869 a Firenze) e l’intraprendenza del nascente museo di storia naturale di Genova, che sotto l’impulso prima del fondatore Giacomo Doria (1840-1913) e poi di Raffaello Gestro (1845-1936) favorì e talvolta sponsorizzò viaggi di esplorazione di studiosi e raccoglitori come Odoardo Beccari, Elio Modigliani, Luigi Maria D’Albertis, Leonardo Fea, Lamberto Loria, Ugo Raap e Vittorio Bottego, le cui esplorazioni nei più lontani angoli del pianeta (D’Albertis e Beccari si spinsero fino in Nuova Guinea) portarono in Italia e soprattutto nelle collezioni del Museo di Genova un ingente materiale, anche di Scarabaeoidea, che venne studiato e valorizzato ad opera di illustri studiosi stranieri, che pubblicarono importanti lavori sugli Annali del Museo, come i già ricordati Boucomont, Brenske, d’Orbigny, Fairmaire, Harold, Lansberge, Sharp , e soprattutto dallo stesso Gestro, autore di numerose pubblicazioni su svariati gruppi di scarabeidi, con un centinaio di specie descritte, dai ceratocantidi (quattro generi descritti di cui tre tuttora validi) e dalle cetonie malesi e papuane (molte nel genere Ischiopsopha, da lui descritto nel 1874) agli Stiptopodius africani, agli spettacolari rutelini orientali dei nuovi generi Ceroplophana (1893) e Dicaulocephalus (1888), alle Apogonia dell’arcipelago indonesiano, ai lucanidi del genere Cyclommatus. E’ stato grazie a questo impulso durato fino ai primi del ‘900 che l’Italia è riuscita a ritagliarsi un posto nell’ambito della coleotterologia (e della scarabeidologia) mondiale.

La nascita nel 1869, come sopra ricordato, della Società Entomologica Italiana, favorì a livello nazionale la compilazione di faune locali, con pubblicazione di varie note e descrizione di specie, che coprono all’incirca tutto il territorio del neonato Regno d’Italia; si ricordano Eugenio Bettoni (1845-1898) e Vittorio Ronchetti (1874-1944) per la Lombardia; Flaminio Baudi di Selve (1821-1901) per il Piemonte, ma attivo anche sugli scarabeidi di altre regioni d’Italia e del Mediterraneo: a lui si deve, nel 1870,  la descrizione del Chelotrupes matutinalis di Sardegna, specie recentemente riabilitata (M. Dellacasa, 2008); Stefano Bertolini (1832-1904) per il Trentino; Alfredo Lazzarini (1871-1945) per il Friuli; Pietro Bargagli (1844-1918), Giacomo Cecconi (1866-1941), Athos Mainardi (1874-1943), Ferdinando Maria Piccioli (1821-1900) per la Toscana; Lionello Spada per i dintorni di Ancona; Pio Mingazzini (1864-1905) per Roma; il già citato Antonio Costa per il sud-Italia e la Sardegna, oggetto quest’ultima anche di una nota di Bargagli (1872).

In particolare si vuole ricordare la fauna della Val Lagarina (1892, con aggiunte del 1908) ad opera del roveretano Bernardino Halbherr (1844-1934), particolarmente significativa in quanto la collezione di riferimento è tuttora esistente presso il Museo Civico di Rovereto, con cartellini accuratamente riportati e conservati.

Numerosi i contributori allo studio della fauna coleotterologica (e quindi anche scarabeidologica) siciliana,  fra i quali ricordiamo Teodosio De Stefani-Perez (1853-1935), Luigi Failla Tedaldi (1853-1933), Giuseppe Riggio (1848-1914), Francesco Vitale (1861-1953) ed Enrico Ragusa (1849-1924), autore anche di un “Catalogo ragionato dei Coleotteri di Sicilia” (1883).

Questi studi faunistici culminarono con la pubblicazione, nel 1874, del primo catalogo dei coleotteri italiani, a cura di Stefano Bertolini, successivamente ampliato nelle edizioni del 1899 e del 1904.

Fig. 103. Due tavole tratte dal lavoro di Eugenio Truqui sui Galphyridae (1848).

Fig. 104. Alcuni disegni tratti dalle tavole del lavoro di Bertoloni “Illustrazione dei prodotti naturali del Mozambico” (1849-1858). Si tratta di Fornasinius fornasinii, Amaurodes passerinii e Cherolasia burkei var. hopei.

Fig. 105. Una delle tante illustrazioni a corredo dei lavori sui Lucanidae di Griffini.

Fig. 106. Disegno dello spettacolare Scarabeinus termitophilus Silvestri (Ceratocanthidae) del Brasile (da Silvestri, 1940).

Il panorama entomologico italiano del diciannovesimo secolo, sebbene in misura nettamente inferiore a quanto accadeva all’estero (con la lodevole eccezione di Gestro), ha visto anche la presenza di studiosi che si sono occupati quasi esclusivamente di Scarabaeoidea esotici, o comunque non italiani. Si possono qui ricordare Eugenio Truqui, che scrisse di Amphicoma (1848) e di passalidi messicani (1857); Giuseppe Bertoloni (1804-1878), che pubblicò sugli insetti del Mozambico descrivendo alcuni Scarabaeidae e Cetoniidae (fra i quali i generi Pachylomerus nel 1849, Fornasinius nel 1853 e Ranzania nel 1855); Eugenio Steinheil, con il suo “Symbolae ad historiam coleopterorum Argentiniae meridionalis” (1869), dove enumera numerose specie di scarabeidi del Sudamerica; Achille Griffini (1870-1932), autore di popolari volgarizzazioni sui coleotteri italiani, che si occupò di Lucanidae africani ed orientali; Giorgina Pangella, che si interessò di passalidi neotropicali (1905) ed africani (1906); Olga Rosmini che trattò i passalidi raccolti nel viaggio di Enrico Festa in Ecuador (1902).

I primi decenni del ‘900 videro la creazione di una rivista dedicata ai coleotteri: la “Rivista Coleotterologica Italiana” pubblicata a Camerino e Salsomaggiore dal 1903 al 1915 (tredici volumi). Su di essa vennero pubblicate varie note e descrizioni di specie di scarabeidi ad opera di diversi autori, ma soprattutto di Andrea Fiori (1854-1933), Giuseppe Leoni (1866-1928) e Paolo Luigioni (1873-1937), autore di numerose note anche sulla rivista “Memorie della Pontificia Accademia – Nuovi Lincei” (ad es. le descrizioni dell’Amphimallon gianfranceschii nel 1931 e dell’A. vitalei nel 1932); Luigioni nel 1929 pubblicò il suo monumentale Catalogo dei Coleotteri Italiani, rimasto l’unico riferimento faunistico d’insieme per gli Scarabaeoidea italiani fino alla recente Checklist della fauna Italiana (1995).

Nel 1923 ebbe inizio la pubblicazione della “Fauna Coleopterorum Italica”, ad opera di Antonio Porta (1874-1971); il volume dedicato agli Scarabaeoidea venne pubblicato nel 1932, rimanendo l’unica trattazione monografia esistente su tutti gli Scarabaeoidea italiani fino al 2004.

Sempre nella prima metà del ‘900 in Italia dobbiamo ricordare il contributo dato alla scarabeidologia da parte di alcuni entomologi professionisti come Filippo Silvestri (1873-1949) dell’Università di Portici, che descrisse alcune specie di scarabeidi termitofili tropicali, come il raro canthonino Ponerotrogus annandalei dell’India (1924) ed il bizzarro Ceratocanthidae Scarabeinus termitophilus del Brasile (1940).

Anche un illustre morfologo quale Guido Grandi (1886-1970) dell’Università di Bologna,  pubblicò in diverse occasioni note di biologia e morfologia relative agli Scarabaeoidea, fra le quali ricordiamo “Contributo alla conoscenza biologica e morfologica di alcuni Lamellicorni fillofagi” del 1925; ricordiamo ancora Vincenzo Lupo, dell’Università di Portici, al quale si deve uno studio morfologico e biologico dell’ Anomala ausonia (1949), che tuttora è probabilmente uno degli studi morfologici più approfonditi che sia mai stato fatto su una singola specie di Scarabaeoidea.

Fig. 107. Una delle  tavole che normalmente costituivano il ricco apparato iconografico dei lavori di Athos Goidanich. In questo caso si tratta dell’importante contributo sulla nidificazione pedotrofica degli Onthophagus e sulla microflora aerobica dell’apparato digerente della larva di Onthophagus taurus (da Goidanich e Malan, 1964).

A cavallo tra la prima guerra mondiale e il secondo dopoguerra in Italia operarono vari studiosi, professionisti o dilettanti, che più o meno intensamente si occuparono di Scarabaeoidea, tra questi si possono citare Giuseppe Mueller (1880-1964) del Museo di Trieste, che descrisse circa 100 specie di scarabeidi, quasi tutte dall’ex-Africa Orientale Italiana, con l’eccezione di una rara Hoplia del sud Italia, Hoplia paganettii (1907); Guido Depoli (1879-1948), che scrisse sui coleotteri della Liburnia e della costa dalmata; Cesare Mancini (1881-1967), cui si devono un paio di interessanti note faunistiche (1924 e 1926); Delfa Guiglia (1902-1983), conservatrice del Museo di Genova, imenotterologa, trattò in una nota i passalidi africani pervenuti al Museo di Genova dalle numerose spedizioni nell’Africa equatoriale ed orientale (1932); Felice Capra (1896-1991), conservatore del Museo di Genova, entomologo eclettico cui di devono alcune note sui generi Scarabaeus e Trypocopris; Alberto Brasavola da Massa (1886-1956), cui si deve l’ultima revisione del genere Aethiessa (1939); Arturo Schatzmayr (1880-1950), conservatore prima del Museo “P. Rossi” di Duino e poi del Museo di Milano, che scrisse su svariati gruppi di coleotteri (anche scarabeidi) del bacino del Mediterraneo; Edoardo Gridelli (1895-1958), conservatore prima del Museo di Genova e poi del Museo di Trieste (di cui fu anche Direttore), si occupò principalmente di Staphylinidae e di Tenebrionidae, ma ha lasciato importanti contributi anche nella faunistica degli scarabeidi nordafricani ed afrotropicali, con i suoi resoconti sulle raccolte entomologiche nell’oasi di Giarabub (1930), nel Fezzan (1933, 1937 e 1939), a Cufra (1933) e nel Paese dei Borana (1939); Athos Goidanich (1905-1987) dell’Università di Torino, che si occupò di sistematica degli Onthophagini e pubblicò, insieme a Enrico Malan, una importante serie di studi sul comportamento nidificatore di varie specie di Scarabaeinae e sulla microflora dell'apparato digerente di alcune specie.

In questi anni, che vanno dai primi decenni del ‘900 alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il panorama scarabeidologico internazionale è dominato da un ristretto numero di studiosi che, vuoi per profondità e vastità di studi, vuoi anche per semplice produzione speciografica, costituiscono dei campioni nel panorama della scarabeidologia mondiale.

Si ricordano l’inglese Gilbert J. Arrow (1873-1948), conservatore del Dipartimento di Zoologia del Museo di Londra per oltre cinquant’anni, che pubblicò oltre 100 lavori, anche di grande mole, con oltre 1200 specie descritte in quasi tutti i gruppi di Scarabaeoidea; i francesi Henri d’Orbigny (1845-1915) e Antoine Boucomont (1867-1936) che descrissero per lo più Scarabaeidae ed Aphodiidae (oltre 700 specie d’Orbigny, circa 400 Boucomont); il tedesco Friederich Ohaus (1864-1946), specialista di Rutelidae mondiali con oltre 1600 specie descritte, ed il tedesco Julius Moser (1863-1929), specialista di floricoli, per lo più appartenenti alle famiglie Melolonthidae e Sericidae, speciografo insuperato con oltre 2200 taxa.

Nel secondo dopoguerra le figure più autorevoli della ricerca scarabeidologica internazionale comprendono sia autori già attivi prima della guerra, sia nuove figure che iniziano a pubblicare a partire dagli anni cinquanta. Fra i primi ricordiamo il ceco Vladimir Balthasar (1897-1978), specialista soprattutto di coprofagi, autore di circa 150 pubblicazioni fra le quali una fondamentale monografia sugli scarabeidi coprofagi paleartici e orientali, con circa 900 specie descritte; il francese Renaud Paulian (1913-2003), direttore di ricerca in Madagascar (ove fondò la serie “Faune de Madagascar”) e in Costa d’Avorio, poi rettore delle università di Amiens e di Bordeaux, membro dell’Accademia francese delle Scienze, attivo, con oltre 350 pubblicazioni, in tutti i campi della scarabeidologia, non meramente sistematica (con circa 700 specie descritte) ma anche morfologica, biologica e zoogeografica; e l’ungherese Sebo Endroedi (1903-1984), specialista di Dynastidae, di cui pubblicò la monografia mondiale fra il 1966 ed il 1977 ed di Aphodiidae (soprattutto afrotropicali). Appartengono alle figure nuove il tedesco Georg Frey (1902-1976), creatore di un Museo e della collezione privata più grande al mondo (ora al Museo di Basilea), specialista per lo più di Melolonthidae con oltre 1000 specie descritte,  il serbo René Miksic (1920-1986), autore di un’importante monografia sui Cetoniidae paleartici ed orientali (circa 300 specie descritte) e l’austriaco Rudolf Petrovitz (1906-1974), descrittore enciclopedico di quasi tutti i gruppi di scarabeidi provenienti da tutte le aree geografiche del globo, con oltre 900 specie descritte.

La scarabeidologia italiana del secondo dopoguerra vede il nascere di veri e propri specialisti, professionisti e dilettanti, che occupano un vasto ambito di competenze, dalla semplice faunistica locale, spesso però concentrata solo in alcune regioni d’Italia e assente in altre, alla revisione di un complesso gruppo di specie esotiche.

Nel campo della faunistica si ricordano le ricerche di Giovanni Mariani (1913-1999) sul litorale ionico di Puglia, Lucania e Calabria effettuate alla fine degli anni cinquanta, in un territorio che tutt’ora può considerarsi poco esplorato dal punto di vista entomologico, al pari di tutta l’area appenninica a sud di Roma, oggetto, sempre negli stessi anni, di alcune note di R. Miksic (1959) e di Giovanni Papini (1964, 1965), che si occupò anche degli scarabeidi del Parco nazionale d’Abruzzo. Di Mariani ricordiamo anche la revisione del genere Trypocopris (1958) e dei generi Agolius e Neagolius (1979), particolarmente pregevoli per l’accuratezza e l’approfondimento della trattazione.

Fig. 108. Un esempio di tavola raffigurante un edeago di Anisoplia (da Pilleri, 1948).

Rimanendo nell’ambito della faunistica, altre due figure meritano di essere ricordate: Alessandro von Peez e Pietro Zangheri.

Alessandro von Peez (1903-1981) si occupò attivamente di coleotteri dell’Alto Adige, pubblicando, nel 1977 “”Die Kaefer von Sudtirol”. Pietro Zangheri (1889-1983) fu un naturalista a tutto campo. Nella sua opera fondamentale “Repertorio sistematico e topografico della flora e fauna vivente e fossile della Romagna” una parte è dedicata agli Scarabaeoidea (1969).

Nel campo dello studio della morfologia finalizzato alla sistematica, devono essere ricordati Gian Maria Ghidini (1911-1974), autore di uno studio sulle Anthypna (ora Amphicoma) italiane e Giovanni Binaghi (1907-1975), insigne coleotterologo sebbene non particolarmente dedito agli Scarabaeoidea, i quali intuirono l’utilità sistematica delle lamelle copulatrici nell’endofallo degli scarabeidi. Binaghi portò queste intuizioni a frutto con uno studio sugli Onthophagus del gruppo “ovatus” (Binaghi, Dellacasa & Poggi, 1969). Già in precedenza tali strutture genitali, sia maschili che femminili, erano state oggetto di accurati studi pionieristici sul genere Anisoplia (Rutelidae) da parte di Giorgio Pilleri (Trieste, 1925), il quale utilizzò tra i primi anche la spermateca come carattere sistematico nella sua revisione dei Calamosternus (Aphodiidae). Importanti studi morfologici, ma anche eco-etologici, sugli scarabeidi italiani furono quelli compiuti da Antonello Crovetti, professore dell’Università di Sassari e poi di Pisa, autore di alcune pregevoli trattazioni monografiche sui Chelotrupes (1970, 1971), i Thorectes (1970), i Pachypus (1969) e le Tropinota (1970)Ricordiamo infine Mario Franciscolo, che pur avendo dedicato gran parte delle proprie energie ad altri gruppi di coleotteri, coltivò lo studio dei Lucanidae, ai quali  consacrò alcune note tassonomiche e un volume della Fauna d'Italia.

Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 lo studio degli scarabeoidei in Italia riceve un notevole impulso con l’emergere di veri e propri specialisti di Scarabaeoidea, che spesso riescono a inserirsi anche nel contesto internazionale, ritagliandosi significative fette di expertise su importanti gruppi della superfamiglia.


 

 

4.5  Dove vivono gli Scarabaeoidea in Italia? 

Gli Scarabaeoidea in Italia si possono trovare in quasi tutti gli ambienti terrestri, dalle dune costiere fino alle praterie d’alta quota. Un’analisi ecologica soddisfacente degli Scarabaeoidea italiani è ancora mancante (fatta eccezione per i coprofagi dell’Italia centrale) e per tale motivo non ci soffermeremo a descrivere in maniera dettagliata i vari habitat e le specie che vi abitano, ma offriremo soltanto una serie di fotografie di varie località, rappresentanti una buona porzione della diversità ecologica italiana, indicando per ogni località le specie di Scarabaeoidea che ivi sono state reperite. 

 

Fig. 109. Lombardia: Valcamonica: Pianaccio (Monno, BS)  mt. 2000 circa, prateria di alta montagna, habitat di Geotrupes stercorarius,  Anoplotrupes stercorosus, Onthophagus fracticornis, Oromus alpinus, Amidorus obscurus, Acrossus rufipes, Acrossus depressus e Teuchestes fossor,tutti rinvenibili in estate nello sterco bovino e di Neagolius bilimeki, che si può trovare sotto i sassi all’inizio dell’estate.

 

Fig. 110. Lombardia, Valcamonica, rive del Fiume Oglio presso Malonno (BS): nello sterco ovino in primavera si trovano Onthophagus joannae, Acrossus luridus, Phalocronotus biguttatus; tra le radici delle graminacee lungo gli argini del fiume vivono Rhyssemus limbolarius, Diastictus vulneratus e Psammodius asper; infine sugli alberi e arbusti, in primavera, si trovano  Melolontha melolontha e Melolontha hippocastani, e sui fiori Cetonia aurata pisana

Fig. 111. Veneto, Rosara di Codevigo (PD), paesaggio rurale, habitat di Osmoderma eremita, Protaetia (Potosia) cuprea cuprea, Calamosternus granarius, Nialus varians, Cetonia aurata pisana, Anoxia villosa, Amphimallon assimile, Holochelus fraxinicola, Pentodon bidens punctatus, Mimela junii junii e Valgus hemipterus.

       

 

 Fig. 112. Veneto, dune di Cà Roman (Is. Pellestrina, Venezia), habitat di Psammdius pierottii, P. nocturnus, Anoxia scutellaris argentea, Oryctes nasicornis corniculatus, Anomala ausonia, Scarabaeus semipunctatus, Tropinota squallida, Mimela junii junii e Triodontella nitidula.

 

 

Fig. 113. Puglia, Gargano, Coppa di Santa Tecla. Ambiente di macchia mediterranea degradata. All'inizio di luglio. Al crepuscolo attorno ai pini d'Aleppo volano le Aplidia etrusca. Di giorno, nel primo pomeriggio, ai margini della macchia vola Lucanus tetraodon, sui cardi si trovano abbondanti Protaetia (Netocia) morio, nello sterco bovino risultano comuni i Cheironitis furcifer, Onthophagus vacca, Onthophagus andalusicus, Onthophagus taurus, Euonthophagus amyntas, Euoniticellus fulvus, Subrinus sturmi e Bodiloides ictericus ghardimauensis.

Fig. 114. Abruzzo, Gran Sasso, Campo Imperatore. Prati steppici di alta montagna. Inizio di luglio. Nello sterco ovino sono comunissimi Euheptaulacus carinatus brutius, Amidorus obscurus latinus e Trypocopris vernalis appenninicus. Al volo radente sull'erba, intorno alle 12,  volano gli Amphimallon fuscum.

       
       
 

Fig. 115.Sicilia, Madonie, Geraci, Pietra Giordano, esempio di praterie montane delle Madonie (1400-1700): in primavera, già allo sciogliersi delle nevi, si rinvengono sotto pietre o più raramente, deambulanti sul terreno, il Geotrogus sicelis e il Firminus ciliatus ciliatus.  In giugno e luglio, nelle radure ai bordi di formazioni boschive in cui vegetano abbondanti le piante erbacee, soprattutto graminacee,  si incontra nelle ore più calde del giorno, l’Hymenoplia sicula, sempre poco frequente, spesso in compagnia di Anisoplia (Anisoplia) monticola marginata. Negli stessi ambienti vive l’Anisoplia (Anisoplia) tempestiva, con popolazioni talvolta abbondanti, ma sempre molto localizzate. Negli stessi mesi estivi, ma solo nel tardo pomeriggio e al crepuscolo vola quasi rasoterra l’Amphimallon fuscum. In autunno, nei pascoli al margine della faggeta, su terreni umidi e ricchi di sostanze organiche, in particolare su sterco ovino è attivo l’ Agoliinus ragusae, che si incontra insieme al Limarus zenkeri.

 

Fig. 116. Sicilia, Monte Soro, esempio di faggeta tra 1500 e1600 m in faggeta, a quote superiori ai 1000 metri, vive il Trypocopris (Trypocopris)  pyrenaeus cyanicolor, che in primavera e poi in autunno, vaga nel sottobosco alla ricerca di sterco, soprattutto  equino. In giugno e luglio, al crepuscolo, inizia il volo, nella faggeta, dell’Amphimallon javeti, del Rhizotrogus romanoi e del più raro Rhizotrogus siculus, che a volte si rinviene sotto le pietre nei mesi primaverili. In piena estate, nelle radure in faggeta, su sterco piuttosto fresco, soprattutto equino e nelle zone d’ombra, si incontra l’ Acrossus siculus, attivo nelle ore del tardo mattino.

Fig. 117. Sicilia, Madonie, Fosso Canna, esempio dei boschi misti tra i 900 e i 1400 m: in primavera e poi di nuovo in autunno, nel terriccio del sottobosco, poco frequente, vive lo Pseudacrossus suffertus. Sui rilievi montuosi, dalla primavera all’autunno successivo, si incontra, su sterco animale, in particolare ovino, l’Onthophagus (Palaeonthophagus) massai, ancora assai frequente. Nei vecchi tronchi, nei ceppi e nelle cavità cariate di latifoglie (acero, leccio e faggio) compie il suo sviluppo larvale il raro ed endemico Gnorimus decempunctatus , che, in giugno e luglio, nelle località montane meglio conservate, vola sulle cime degli alberi, posandosi raramente sui fiori. Anche il raro ed endemico Osmoderma cristinae, dopo aver trascorso lo stadio larvale nei ceppi o in tronchi marcescenti di querce ed aceri, fa la sua breve comparsa in estate. Nella stessa stagione è attivo al crepuscolo, nelle serate più calde e poco ventilate, il Lucanus tetraodon  sicilianus, mentre si sposta sui vecchi tronchi di quercia o faggio, o quando è attratto dalle luci artificiali.
       

 

Fig. 118. Sicilia, Madonie, Gratteri, esempio di ambiente di macchia mediterranea tra i 500 e gli 800 m: nelle radure boschive, sui fiori di rosa canina,  di cisto, di rovo e, più raramente, di ombrellifere, si posa, da maggio all’inizio dell’estate il Trichius zonatus. A partire da giugno sono molto comuni sui fiori, soprattutto di carciofini e cardi selvatici, l’Aethiessa floralis e la Cetonia aurata sicula. Meno frequente, sulle stesse infiorescenza, la Protaetia (Eupotosia)  affinis affinis e l’ancor più rara Protaetia (Cetonischema) speciosissima.   Sulle infiorescenze più varie,  ma con predilezione però per i grossi fiori di cardi selvatici,  si incontrano la Protaetia (Potosia)  cuprea hypocrita e, assai più rara, la Protaetia (Netocia) squamosa.   Fig. 119. Sicilia, Campobello di Mazara, esempio di aree planiziali prossime alla costa: nei terreni aperti e con scarsa vegetazione, alle basse altitudini e spesso a ridosso della costa svolge nei mesi primaverili la sua attività il Geotrogus euphytus, che si incontra sotto le pietre o, più raramente, al volo. Nei pascoli aperti e soleggiati a substrato argilloso-sabbioso compare in primavera il Mecynodes striatulus, sempre poco frequente. In autunno, negli stessi ambienti, si incontra l’Anomius castaneus, localmente numeroso. Entrambi prediligono  sterco ovino e bovino molto fresco. In aree molto localizzate, anche in prossimità della costa, su terreni scoperti e pianeggianti sono attivi nelle giornate autunnali più umide e piovose i maschi di Pachypus caesus, che volano bassi sul terreno, alla ricerca della femmina attera, che conduce vita sotterranea.  Raro, soprattutto nei pascoli più aridi ed esposti e prossimi al litorale, si incontra dall’autunno alla primavera successiva l’Alocoderus hydrochaeris, soprattutto su sterco bovino ed ovino. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 120.  Sicilia, foce Modione (TP), esempio di dune costiere meridionali: fra le dune più ricche di vegetazione si incontra, ormai sempre più raramente, nei mesi primaverili, Jekelius (Rudolfpetrovitzia) marginatus, mentre vaga alla ricerca di sterco animale (ovino o bovino ma anche di conigli selvatici).   Sempre più rara, compare nei mesi primaverili, con breve volo crepuscolare, la Calicnemis latreillii. Alla base e fra le radici delle piante alofile, vivono diversi elementi psammofili, quali Brindalus porcicollis e diverse specie di Rhyssemus. A cominciare dai mesi primaverili e fino all’autunno successivo si vede volare nelle ore più calde lo Scarabaeus semipunctatus alla ricerca di escrementi animali e si osservano esemplari che rotolano velocemente la palla di sterco o che la stanno insabbiando. L’affine Scarabaeus sacer, un tempo altrettanto diffuso, è oggi quasi scomparso da queste stesse spiagge. Sulle dune e nel retroduna, posati in colonie più o meno numerose su diversi fiori, ma soprattutto composite, si incontrano nelle belle giornate di maggio e di giugno le Paratriodonta cinctipennis, intente ad accoppiarsi o a rodere e divorare i petali. Al crepuscolo, fra le tamerici del retroduna, si incontra in giugno, l’Anoxia scutellaris  argentea, propria delle coste meridionali,  che presenta fortunatamente ancora colonie molto abbondanti, anche se localizzate, mentre la sottospecie sicula è estremamente rarefatta negli analoghi ambienti della costa settentrionale, a seguito della loro riduzione o quasi totale scomparsa. Lungo il litorale sabbioso e nel retroduna, subito dopo il tramonto, inizia in giugno e luglio la frenetica attività della Polyphylla (Polyphylla) ragusae ragusae, con i maschi che con volo basso e zigzagante vanno in cerca, per accoppiarsi, delle femmine, posate alla base di erbe e cespugli. Questa specie è scomparsa dal litorale della costa settentrionale, per il degrado degli ambienti originari. Nella Sicilia sud-orientale è sostituita dalla sottospecie aliquoi. Ancora abbondante e relativamente comune si incontra lungo il litorale, spesso alla foce di fiumi e torrenti, ma anche in ville e giardini delle città, l’Aplidia hirticollis, attiva ala crepuscolo da maggio a luglio. Meno comune l’Aplidia villigera. Con un areale limitato alla sola località tipica di descrizione (Foce F. Simeto – CT), vola in giugno al crepuscolo la piccola Aplidia massai, endemica di Sicilia. Pure comune e abbondante e attiva al crepuscolo in primavera e estate, l’Anomala ausonia

 

4.7  La raccolta degli Scarabaeoidea italiani

Fig. 121. Uno sterco bovino in autunno: l’esame degli escrementi durante la stagione autunnale consente di raccogliere una fauna particolare, costituita in gran parte da Aphodiinae dei generi Nimbus, Melinopterus e Chilothorax, presenti spesso in concentrazioni di centinaia di individui. In questo caso è ben visibile il disfacimento della massa stercorale prodotto dal brulicare degli Aphodiinae.

Fig. 122. Un esempio di FIT (Flying intercept trap) allestita in una foresta tropicale (foto M. Maruyama, 2010).

La raccolta degli Scarabaeoidea coprofagi è certamente la raccolta più facile e fruttuosa. Va prima di tutto ricordato che per poter avere un quadro completo della fauna coprofaga di una determinata località è necessario tener conto del fatto che esistono specie con fenologie differenziate e con preferenze per diversi tipi di escrementi. Sarà quindi necessario effettuare raccolte in tutte le stagioni, compresi l’autunno e l’inverno (i generi di Aphodiinae Chilothorax, Nobiellus, Nimbus e Melinopterus sono quasi esclusivamente autunnali-invernali, lo stesso dicasi per il geotrupide Ceratophyus rossii) e ispezionare diversi tipi di escrementi e gli stessi escrementi a diversi stadi di degradazione (per esempio gli Ammoecius sono legati agli sterchi molto secchi, mentre specie come il Colobopterus erraticus preferiscono nettamente sterchi molto freschi).  Oltre alla raccolta a vista, che dovrà comunque estendersi anche al terriccio sottostante la massa stercorale (dove si rifugiano le specie scavatrici), i metodi più fruttuosi sono il lavaggio dello sterco e l’uso del bidone con rete divisoria. Il entrambi i casi si preleva un numero adeguato di sterchi di una stessa località, compreso qualche centimetro di terra al di sotto dell’escremento. Quindi nel primo caso  si mette il materiale accumulato in un secchio riempito con acqua tiepida. Tutti i coprofagi verranno a galla e potranno essere catturati con facilità, necessitando però di un periodo di asciugatura prima di essere messi nel flacone con l’etere. Nel secondo caso invece si prende un secchio o un bidone con coperchio, a metà dell’altezza del secchio si inserisce una rete, le cui maglie abbiano un diametro non superiore a 1-1,5 cm. Si pone sulla rete lo sterco raccolto, si chiude il bidone e si lascia passare una nottata. Il naturale movimento degli insetti li farà cadere al di sotto della rete. Il giorno dopo sarà sufficiente eliminare lo sterco rimasto sopra la rete, togliere la rete e versare il contenuto del fondo del secchio nel flacone, aggiungendo alcune gocce di etere acetico. Alcuni Scarabeidi coprofagi sono attirati anche da funghi e da cadaveri. Infine alcuni coprofagi sono foleofili, vivono cioè nelle tane di piccoli mammiferi (in Italia soprattutto talpe e marmotte): si potrà catturarli vagliando il terriccio asportato con un piccolo mestolo dai lati della galleria primaria della tana.

Per quanto riguarda i Trogidae, possono essere fruttuose l’ispezione di tane di mammiferi, di escrementi di carnivori (da condurre con le adeguate cautele igieniche) e di nidi (soprattutto di rapaci diurni e notturni), ma ancor più fruttuoso potrebbe essere l’utilizzo di apposite esche, che saranno approntate collocando in luogo riparato peli, penne o resti di pelle indurita, preferibilmente lasciandoli in loco per diversi mesi e ispezionandoli di tanto in tanto. Va segnalato che i Trogidae hanno spesso l'intero corpo ricoperto da sporcizia, cosa che li rende molto difficili da individuare.

Gli Psammodiini e in genere tutte le specie psammofile o comunque ipogee, come gli Aegialiinae e gli Orphninae, si raccolgono vagliando il terriccio. Per quanto riguarda gli Psammodiini è necessario vagliare il terriccio presente tra le radici delle piante che crescono lungo le rive dei fiumi o sulle dune costiere. Per i Chaetonyx invece la lettiera nei boschi di latifoglie è l’ambiente preferenziale, ma catture possono essere fatte anche sotto i sassi.

La raccolta dei floricoli richiede soprattutto una frequente presenza sul campo, in quanto molti floricoli (specialmente i Melolonthinae) hanno periodi di apparizione degli adulti limitati a pochi giorni nell’arco dell’anno e poche ore nell’arco del giorno (esistono specie a volo primaverile, altre estive e altre ancora tardo-estive autunnali, specie che volano al crepuscolo, altre che volano la mattina). Per la raccolta, quando non effettuabile a vista, risultano utili l’utilizzo dell’ombrello entomologico (soprattutto per le Anomala e le Mimela, specialmente la mattina presto, quando sono ancora intorpidite dal freddo e quindi meno veloci a volar via) o del retino da falciare (questo utile per tutte le specie che vivono sulle piante erbacee, come per esempio le Anisoplia, spesso aggrappate alle spighe di graminacee).

Numerose specie di Melolonthinae, Rutelinae e Dynastinae sono attratte dalla luce, e questo vale anche per gli Ochodaeidae, Hybosoridae, Geotrupidae, Pachypodinae e per alcuni Aphodiinae. Le raccolte al lume è bene siano condotte dall’imbrunire fino a notte inoltrata, in quanto gli orari di volo tendono ad essere brevi e diversificati da specie a specie.

I Cetoniinae (ma anche molti Hopliini e Sericini) si possono trovare ispezionando fiori (soprattutto ombrellifere, cardi e rosacee) e frutta matura, nonché eventuali ferite di tronchi da cui fuoriescano liquidi zuccherini.

L’uso di trappole va fatto con moderazione e solo se necessario, in quanto trappole collocate in ambienti di limitata estensione e/o lasciate in loco per tempi troppo lunghi possono avere effetti distruttivi. Le trappole più utili per la ricerca degli Scarabaeoidea sono le trappole a caduta, anche prive di esca, che possono dare frutti interessanti soprattutto negli ambienti ripariali, dove si possono in tal modo reperire molti “Laparosticti” altrimenti difficili da trovare, come per esempio gli Euheptaulacus, gli Heptaulacus e gli Ochodaeus, nonché alcune specie floricole a costumi prevalentemente “terricoli”, come per esempio l’Hoplia brunnipes. Le trappole aeree, escate con vino o birra o frutta matura, vanno bene soprattutto per Lucanidae e Cetoniinae. Infine le trappole a finestra (in inglese FIT: flying intercept traps), prive di esca e assolutamente non selettive, sono poco utilizzate in Italia ma potrebbero permettere di raccogliere specie pressoché introvabili o impossibili da cercare con i metodi abituali, perché se ne ignora la biologia. In Giappone, allestite a livello del suolo, danno frutti per molte specie volatrici rare come i rappresentanti dei generi Bolbelasmus, Odonteus, e Ochodaeus, o ancora i Trogidae in generale.

 

4.8  Aspetti conservazionistici relativi agli Scarabaeoidea italiani 

I fattori di minaccia cui devono far fronte gli Scarabaeoidea italiani si possono riassumere nei seguenti punti:

- riduzione e scomparsa dei pascoli. Si tratta di minaccia più evidente nel nord Italia (specialmente nelle zone di pianura), dove negli ultimi lustri molte specie coprofaghe di grandi dimensioni sono del tutto scomparse (sembra comunque che, per quanto riguarda le specie di grandi dimensioni, anche la predazione da parte dei corvidi possa aver svolto un ruolo importante).

- Utilizzo di vermicidi per il bestiame, i cui residui finiscono negli escrementi, avvelenando i coprofagi. Si tratta di minaccia non ancora ben valutata in Italia, ma che in alcuni paesi esteri ha prodotto danni rilevanti.

Fig.. 123. Osmoderma eremita, specie saproxilica di interesse conservazionistico, protetta dalla Convenzione di Berna e dalla Direttiva Habitat (foto M. Uliana, 2005).

Fig. 124. Un esempio di piramide di ceppi dimostrativa (“log pyramid”), realizzata a Londra presso i Kew Gardens (foto A. Ballerio, 2008).

- Riduzione del legno morto nelle aree boscate (siepi e giardini compresi). E’ causa di diminuzione di tutte le specie che compiono il proprio sviluppo larvale nel legno morto e nelle cavità degli alberi vetusti (i cosiddetti insetti “saproxilici”). Ne sono esempi il cervo volante, gli Osmoderma e la Cetonischema speciosissima. E’ una minaccia di cui tuttavia si sta prendendo  crescente consapevolezza, con il risultato che la gestione dei boschi e in generale delle aree verdi sta diventando sempre più sensibile a queste tematiche.

- Riduzione delle aree lasciate a prato stabile e delle siepi. Si tratta di una minaccia che, unita all’uso intensivo di insetticidi (e, verosimilmente,  alla presenza di altri inquinanti) e forse anche all'uso di agenti della lotta biologica, è probabilmente la causa della diminuzione di molti Rutelinae e Melolonthinae, le cui larve si nutrono di radici.

- Disturbo delle fasce dunali e retrodunali costiere e delle rive dei fiumi. In molte località del litorale tirrenico e adriatico possiamo ben dire che non esista più alcuna traccia di questi ambienti, un tempo diffusi e ricchi di specie di Scarabaeoidea.

Posto che queste sono le minacce, gli strumenti finora ideati per conservare gli Scarabaeoidea appaiono del tutto insufficienti.

In Italia, per quanto riguarda gli Scarabaeoidea,  sono attualmente in vigore una legge nazionale (la legge di recepimento della Direttiva Habitat), un trattato internazionale (la Convenzione di Berna) e varie leggi regionali o provinciali (legge regionale 56/2000 della Regione Toscana, legge regionale 15/2006 della Regione Emilia Romagna, legge regionale 9/2007 della Regione Friuli - Venezia Giulia, legge regionale 10/2008 della Regione Lombardia, legge regionale 50/1993 (come modificata dalla legge regionale 59/2010) della Regione Abruzzo, legge provinciale  23-25/2009 della Provincia Autonoma di Trento e legge provinciale 6/2010 della Provincia Autonoma di Bolzano).

Le specie di Scarabaeoidea incluse nella Direttiva Habitat e presenti nel nostro territorio sono: Bolbelasmus unicornis (allegati 2 e 4), Lucanus cervus (allegato 2), Osmoderma eremita (allegati 2 e 4).

Le specie incluse nella Convenzione di Berna sono: Lucanus cervus (appendice 3) e Osmoderma eremita (appendice 2).

Le specie incluse nella legge regionale della Toscana sono: Ceratophyus rossii, Odonteus armiger, Lucanus cervus, Lucanus tetraodon, Platycerus caraboides, Platycerus caprea, Sinodendron cylindricum, Hoplia dubia, Hoplia minuta, Rhizotrogus ciliatus vexillis, Rhizotrogus genei,   Rhizotrogus grassii, Rhizotrogus procerus, Rhizotrogus sassariensis, Polyphylla fullo, Mimelia junii gigliocola, Trox cribrum, Calicnemis latreillei, Eupotosia mirifica, Gnorimus variabilis, Gnorimus nobilis e Osmoderma eremita.

Le specie incluse nella legge regionale dell’Emilia Romagna sono: Lucanus cervus, Lucanus tetraodon, Scarabaeus semipunctatus, e Osmoderma eremita.

Le specie incluse nella legge regionale della Lombardia sono: Lucanus cervus, Bolbelasmus unicornis, Gnorimus variabilis, Osmoderma eremita e Cetonischema speciosissima.

Le specie incluse nella legge regionale del Friuli - Venezia Giulia sono: Lucanus cervus e Osmoderma eremita.

Le specie incluse nella legge regionale dell'Abruzzo sono: Aphodius (Amidorus) obscurus latinus e Osmoderma eremita.

Le specie incluse nella legge provinciale della Provincia Autonoma di Trento sono: Lucanus cervus, Scarabaeus pius, Oryctes nasicornis, Polyphylla fullo, Gnorimus nobilis e Osmoderma eremita.

Le specie incluse nella legge provinciale della Provincia Autonoma di Bolzano sono: Lucanus cervus e Osmoderma eremita.

Le tutele che offrono queste leggi si possono riassumere come segue:

1) una serie di disposizioni volte a favorire la creazione di are protette che ospitino specie minacciate;

2) una serie di “divieti”, più o meno pesantemente sanzionati, e cioè:

- il divieto di uccisione,

- il divieto di cattura,

- il divieto di detenzione,

- il divieto di commercio,

- il divieto di distruzione dei siti di riproduzione e riposo.

 Segnalo come le specie incluse nell'allegato 4 della Direttiva Habitat siano anche tutelate penalmente.

La conservazione della biodiversità e degli insetti in particolare è materia complessa e in una fase relativamente “primitiva”, con il risultato che quanto si sta facendo è ancora largamente insufficiente e insoddisfacente.  L’attuale approccio risulta fortemente influenzato dall’esperienza maturata per la conservazione dei vertebrati (uccelli e macromammiferi in particolare), ma è evidente come tale esperienza sia del tutto inadatta alle peculiarità del mondo degli insetti, con il risultato che l’attuale politica di conservazione, basata sulla compilazione di liste rosse e la promulgazione di misure di tutela essenzialmente limitate alla definizione di una serie di divieti, è destinata a rimanere pura retorica, senza in realtà produrre frutti concreti, efficaci e duraturi. Per di più con il fastidioso effetto collaterale di mettere in cattiva luce l’attività di raccolta entomologica, senza che, nella maggior parte dei casi, ve ne sia reale necessità.

Gli Scarabaeoidea presentano una particolarità che rende subito evidenti i limiti dell’approccio liste rosse/divieti: il caso dei coprofagi.

In Italia gli Scarabaeoidea coprofagi (e, più in generale, tutta la comunità di invertebrati coprofili) sono principalmente legati alla presenza di pascoli di bestiame domestico. L’attuale quadro di distribuzione di questi coleotteri nonché le dinamiche delle popolazioni e la consistenza delle stesse sono stati fortemente influenzati dalle pratiche agricole e dallo sviluppo dell’economia pastorale avvenuti in Italia grosso modo negli ultimi 2.000 anni.

E’ del tutto evidente come pensare di proteggere gli Scarabaeoidea coprofagi enumerando un certo numero di specie rare e vietandone l’uccisione, la cattura e la detenzione, appaia del tutto risibile, mentre il divieto di “distruzione dei siti di riproduzione e riposo” che vediamo contenuto in molte leggi attualmente vigenti (in primis la Direttiva Habitat) comporterebbe non pochi grattacapi su come applicare tale disposizione (il pastore che decidesse di non far più pascolare il bestiame in un determinato pascolo violerebbe tale divieto?). Sarebbe molto più sensato prevedere una serie di misure agevolative, volte a mantenere e sviluppare il pascolo di bestiame nelle aree caratterizzate da agricoltura non intensiva. Certamente tali misure comporterebbero per la pubblica amministrazione una serie di sacrifici e spese (incentivi economici, ecc.) e proprio per questo è altamente improbabile che possano diventare realtà, preferendo il legislatore puntare sui predetti classici “divieti”, molto meno costosi da applicare e di molto maggiore impatto emotivo (…anche se del tutto inutili e controproducenti).

Quando si parla di conservazione degli insetti e in special modo quando ci si riferisce alle misure di conservazione da adottare al di fuori delle aree protette, parrebbe più utile occuparsi di misure di conservazione attiva, piuttosto che tentare di applicare più o meno assurdi divieti.

Un esempio molto positivo di conservazione attiva è costituito dalle “log pyramids” che stanno prendendo piede in Inghilterra per creare siti di riproduzione adatti agli insetti saproxilici (soprattutto per i cervi volanti). Si tratta di un sistema economico ed efficace, utilizzabile anche nei giardini e nelle aree agricole, molto più utile alla causa della conservazione degli insetti rispetto all’instaurazione di un improbabile regime poliziesco basato su divieti e sanzioni.